domenica 21 aprile 2013

La morte solinga



Venne a trovarmi una sera d'inverno, che non me l'aspettavo.
Non ci si aspetta mai di aprire alla Morte.

Non suonò il campanello, le bastò pensare di voler entrare.
Non chiesi chi era, già lo sapevo.
Perchè non ero preoccupato?
Ogni pensiero terreno mi sembrò ininfluente davanti a un eterno.
Mi scostai per farla passare. Un passaggio che non lasciava odori.

Rimase alzata, statuaria, come se fosse lei in imbarazzato, mentre io dovetti sedermi per non cadere.

Confessò di aver ponderato a lungo su chi scegliere per essere aiutata ma di non avere la certezza che io lo potessi fare davvero... io, aiutare lei.
Quindi non era venuta per...

No.

L'avevano convinta a venire da me la mia storia, il mio vissuto. Perché mi trovato continuamente a ragionare sul significato della fine. Perché mi ero posto da sempre le domande sui massimi sistemi e avevo trovato risposte semplici, spicciole, umane.

Erano questi, secondo lei, i motivi che avevano messo me nella rosa dei prescelti.
Era già stata da altri ma non aveva risolto il suo dilemma.

Riuscii a mendicare chiarezza, in virtù della mia umanità.
Lei cominciò a spiegarsi, comunicando con pensieri che fiorivano nel mio cervello come licheni nella neve.

- Sono la personificazione che gli umani hanno dato al concetto di morte, sono eterna. Nel ruolo che rivesto mi aspetto di essere l'ultima entità esistente prima del nulla... 

Aveva ben chiaro che non potevo ancora capire, quindi proseguì nel suo soliloquio.

- E se non finisse per me? Se in attesa di qualcos'altro io fossi destinata a proseguire nella mia esistenza solitaria... per l'eternità?
Ti chiedo: esiste un altro concetto astratto che gli uomini hanno materializzato e capace di sopravvivermi? Esiste un rimedio alla solitudine eterna?

Cercava aiuto per il timore, prima o poi, di restare sola.
Fui stupito di questa mortale paura e anche arrabbiato: quanti uomini rimangono soli per la loro eternità?
Poi tornai in me.
Un'idea ce l'avevo.

La vita, la nascita.

Avrei dovuto mostrarle qualcosa ma non sapevo come ci saremmo mossi da lì.
Fu lei a risolvere il problema.
In un attimo cominciammo a passare attraverso la materializzazione dei miei pensieri.
Osservammo piccole creature appena nate, atti d'amore; assistemmo a intensi istanti di fecondazione... alla vita!

La mia compagna di viaggio non trovò soddisfazione.
La vita - diceva - prima o poi cesserà, mentre io sarò l'attesa della mia stessa fine, che non può avvenire... e quindi sarà un'attesa infinita.

Allora chiusi gli occhi e compresi quanto eravamo simili nelle nostre paure.
Ebbe inizio un viaggio nel dolore.

Vedemmo corsie d'ospedale in cui ospiti e visitatori si alternavano in uno scambio equo di sentimenti.
Campi di battaglia in cui il sangue rappreso lasciava spazio ai sopravvissuti.
Bambini con mani ossute mescolate a lacrime e mosche, tese verso un futuro a termine.
Radiazioni di luce che cercavano di sfondare ovuli di materia oscura ignorando l'inevitabile estinzione.
Attori di vita organica che si sforzavano di trovare un senso all'alchemico viaggio di cellule grigie che morivano tra scoppiettanti scambi elettrici.

Vedemmo nascere l'entità che accompagnava tutte quelle immagini, fino alla fine.

La trovammo. Trovammo chi le avrebbe fatto compagnia.
Avevamo cercato in un sentimento radicato nel senso stesso dell'esistenza, avversa alla fine, una scintilla che frena l'estinzione.

La Speranza.

Così banale, eterna.
Così sprezzante della Morte da diventarne amica comprensiva, unica amica.
Morte e Speranza moriranno insieme, mano nella mano, l'una il senso dell'altra.

Nel silenzioso saluto che accompagnò lontano la mia visitatrice, rimasi solo. Accovacciato nel luogo fisico della mia quotidianità a lacrimare per il primo ingresso che avevo avuto nell'estrema consapevolezza del significato di speranza.

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Marco Frosali
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