mercoledì 14 dicembre 2016

Dylan Dog - Cose perdute




Ho avuto un amico immaginario da piccolo.
Lo percepivo distintamente, reale come il resto del mondo.
Era lui e sua madre; ma il mio amico era quello con cui interagivo.
Nell’albo di Dylan Dog di questo mese si parla di amici immaginari e di percezioni infantili. Questa storia mi ha coinvolto intimamente, mi ha portato a fare un profondo esame di coscienza e mi ha ricordato quanto avventurose fossero le scorribande che vivevo con quell’amico, con quanta fantasia addobbavo i miei giochi con gli amichetti reali, che altrimenti sarebbero stati soltanto corse, nascondini e grida.
I miei giochi da piccolo avevano già fame di storie.
Non mi accontentavo di giocare e basta: doveva accadere qualcosa di totalmente coinvolgente, di meraviglioso.
Credo che sia stata questa spinta che mi ha portato poi a essere tanto curioso e a cercare quelle avventure nei libri, nei fumetti, nei film o nelle serie tv... e nelle persone.
Quella di Paola Barbato è una storia universale perché non racconta soltanto di un killer e dell’indagine per acciuffarlo, parla di qualcosa che brilla nella sfera intima della natura umana.
Il mio amico immaginario… non ricordo il momento che se n’è andato. Non ricordo una mia reazione alla sua sparizione.
Forse quando è nato mio fratello.
Forse era lui che mi avvertiva che stava arrivando, era il mio bisogno di realizzare qualcosa che ancora potevo solo percepire dentro mia madre.

martedì 18 ottobre 2016

Figli (2)




- Babbo?
- Aspetta un secondo Lalu, sto parlando con tua sorella.
- ... Eh, ma quanto dura questo secondo!

Bastardo il tempo. Ti illudi di poterlo dilatare, di rendere un istante eterno o di scorrerlo veloce per.
Invece è lui che guida il gioco, ti confonde, ti distrae, crea attese finché ti volti e dietro ha tracciato un abisso di anni, in cui puoi scorgere solo pochi frammenti di ciò che hai vissuto.
Ma lui non sa che tu vivi di quei frammenti, in cui ti specchi per scrutare i ricordi più belli.
Non lo sa che tu hai seminato, e i semi che germogliano diventano le immagini sui frammenti.

Ne sto guardando uno adesso che mi dice di una figlia un po' Pinocchio, un po' giullare ma già così determinata e consapevole... e penso alla donna che sará e in quel momento forse rivedrò questa scena.
Penso che mi piacciono i ricordi, perché sono istanti di passate attese e mi sento come un pescatore che non prenderà nemmeno un pesce, ma si sarà concesso il tempo di aspettare.
In fondo la peggior nemica del tempo è la pazienza.

venerdì 30 settembre 2016

La pioggia e il vento



La pioggia e il vento sono promesse.
Mi piacciono quando arrivano annunciati dai colori del cielo, o dall’aria satura che riempie le narici, e rimangono discreti, fuori dalle mura di casa.
A occhi chiusi puoi ascoltare lo spartito della natura che pizzica le imperfezioni della città: in una corda per i panni che dondola, in una porta allentata, una finestra vecchia o una corsa sfrenata, che lascia orme che si riempiono.
Come i vuoti della memoria.
Attraverso la trasparenza del vetro si fanno nitide le gocce, nel loro piccolo viaggio, e si portano dietro i miei ricordi di una volta, in montagna, che mio padre camminava ancora, odore di castagne e fumo dolce di caminetti, muri di pietra e viottoli storti.
Sorrisi e foglie pesanti, bucature di ricci e pianti, io piccino con la candela al naso e le lacrime mescolate a terra, come queste gocce che col dito accompagno a morire.
Mi faccio distante dal presente e cerco di raccogliere ogni germoglio del passato, annaffiato da quest’acqua benedetta che picchietta sui vetri, come per avvertire: - attento che stanno passando dei ricordi.
E potrebbero non tornare.
Le tristezze o le gioie, le metto tutte nello stesso sacco.
E le accompagno, qui, sotto l’occhio, nel loro piccolo viaggio.

domenica 25 settembre 2016

Figli







Le mie figlie hanno lo sguardo che è un pontile e da lì le barche partono soltanto.
Il sole sull'acqua scintilla.
Sto seduto e mi guardo le mani per essere sicuro di non tenere nessuna cima.
Ho i calli sui palmi. Segnano il tempo che mi sono mancate: è un conteggio che si aggiorna e serve per rendere importante tutto il resto.
Una difficile estate è alle spalle e so che loro sono pronte per un nuovo varo. Fa male, come ogni consapevolezza di padre.
Mi alzo e tolgo l'ultimo ormeggio. Spingo di prora e le guardo allontanarsi ancora.





domenica 18 settembre 2016

Scegliersi








Scegliere è un diritto e un dovere.
Ma è un’azione unilaterale.
Vai dal fruttivendolo, allunghi l’indice e scegli una mela o un pomodoro; dal panettiere scegli il tuo panino…
Oppure scegli un vestito, un mobile o il posto per le vacanze.
Scegliere puoi intenderlo come selezionare: per me è una parola bruttissima.
Lo è da quando quel dito mi evitava, fino a che non ero l’ultimo della fila per la partita di pallone.
È una parola che non ci dovrebbe essere. Dovrebbe esistere solo al riflessivo.
Scegliersi.
Pensate a quanto cambia la connessione tra persone e cose. Non è per caso vero che in un luogo, voi ci tornate perché anche quello vi ha scelto?
Oppure avete mai avuto l’impressione che la scelta di un libro sia avvenuta da entrambe le parti, anzi, che sia stato quello a chiamarvi?
Ma quelle son cose…
Pensate agli amici.
Pensate al vostro amore. Avete scelto o vi siete scelti?
Scegliersi è condividere una decisione; scegliersi è “farsi oggetto di reciproca scelta”.
Scegliersi sono due dita che si toccano.

mercoledì 14 settembre 2016

Figlia mia






Figlia mia…
Guardo piegarti la faccia una volta al mese e tenerti la mano al basso ventre, come ci fosse qualcosa da proteggere. Di già.
Ma sono inerme dal consolarti per qualcosa di naturale.
Vorrei farmi dolore, per poter provare soltanto a starti vicino e condividere questi momenti.
Come faccio a dirti che sono benedetti?
Come faccio a raccontare a te, che sanguinare è bello, se dubito anch’io?
Che la corona con cui molti uomini vi adornano è fatta di sangue rappreso?
Chi gli ha insegnato a calpestarvi? A considerarvi cosa?
No, non c’è giustizia.
Dovremmo sanguinare noi, ma dalla bocca, o dagli occhi, per sperare soltanto di pareggiare millenni di torti e di sbagli e di prevaricazioni.
Dovremmo strisciare in un inferno in cui ci è proibito alzare lo sguardo per fissarvi gli occhi.
Dovremmo fare come le api, che si alzano in volo verticale, in volo nuziale per raggiungere la regina e cadere giù spossati mentre pensiamo ai nostri sbagli.
Che tanto ci sono.
Sempre.


lunedì 12 settembre 2016

Equilibrio




Equilibrio

Un equilibrista matto
Sul filo teso
Tra i nostri sguardi,
Senza rete.
Come la nostra passione,
Rischia di precipitare
A ogni passo
In un abisso incontrollabile












.

venerdì 9 settembre 2016

Mi chiamo Asia




Mi chiamo Asia e ho imparato a scriverlo col sangue.
Kobane è alle spalle e non la vediamo più nemmeno nelle lunghe ombre della sera, che portavano fin sul fronte la sagoma delle nostre macerie.
Davanti abbiamo una nuova città.
Le luci si alzano lontane e rimbalzano sulle nuvole compatte; son sicura che domani pioverà.
Voi che raccontate i telegiornali, non avete visto la linea dura che disegna il profilo del mio viso, fatta di schegge di paura e passione. Shareef la seguiva con un dito mentre i suoi occhi scrutavano l’orizzonte.
Mi chiamo Asia e il mio nome suona alle tue orecchie come i rami spogli e ingarbugliati delle garighe, mossi dallo scirocco autunnale, ancora giovane, ma che a novembre pettina le strade polverose di Kobane.
Oggi mi sembra di sentire ancora l’odore dei gelsomini, che ho respirato una volta da piccola, al mercato dei fiori di Minbic, quando in braccio a mio padre mi tenevo alla sua barba per non cadere.
Mi chiamo Asia e il mio nome adesso è scritto grande su tutta la mia terra.
Le leggende muoiono solo se si dimenticano.

lunedì 15 agosto 2016

Departures - Diario di un necroforo



Nuovo post sul "Diario di un necroforo":




DEPARTURES


In cui racconto come da un film si possa trovare un amico che condivide le proprie sensazioni.

venerdì 29 luglio 2016

Espressione strana



È un’espressione strana che guardo come un pericolo.
Parentesi che si aprono, numeri, segni e lettere che scorrono, che crescono e fuoriescono e si accavallano come da una pianta innestata, come da un’emorragia di logica frattale da una ferita di materia oscura.
Ma so che devo domarla se voglio spiegarla a mia figlia.
Succede qualcosa che non mi era mai capitato a scuola.
Penso che se non la scrivo, quell’espressione non esiste.
Sono io a darle un senso.
Non mi spaventa più adesso.
Prendo la penna nera, e il gel dell’inchiostro la imprigiona sul foglio.
La libererò facendola tornare.
È inerte sulla pagina bianca.
C’è un monomio, un diviso, un altro monomio simile, un segno più...
Devo fermarmi qui. Faccio finta di vederla smembrata e poterne prendere un pezzo alla volta, come si fa da bambini, cercando di catturare la Luna tra pollice e indice; mi vedo prendere i due monomi, girare il secondo, pensare a cosa devo fare loro per trasformarli nello stadio successivo.
Li faccio evolvere.
Sono il loro dio.
Adesso plasmerò gli altri due monomi e li libererò dal recinto delle loro parentesi, diventeranno uno solo e li farò incontrare con quelli precedenti e poi unirò quelli successivi e questi… in un’orgia di segni e potenze e poi alla fine, alla fine.
Guardo alla destra del libro.
Torna.

lunedì 13 giugno 2016

Città amara di Leonard Gardner




Città amara - Leonard Gardner - Fazi

Città amara di Gardner parla di pugilato.
Ma se togli quello e ci metti il tuo lavoro, la tua vita, il senso di quello che stai facendo, che richiede il tuo impegno, la tua massima partecipazione emotiva e fisica: ci sei, sei il protagonista del romanzo.
E puoi scegliere il tuo futuro seguendo la linea della vita dei personaggi, una linea che solca dure pelli di guantoni pronti a sbatterti nei denti non appena cedi, non appena smetti di sperare, di credere in quello che fai, nelle tue possibilità. Perdi la tua partita quando cominci a coccolarti nell’amarezza di un tormento, credendo che sia quello a ossessionare te.
E invece è il contrario, perché a volte è così facile smettere di piangerci addosso, che nell’incredulità di riuscirci, invertiamo a U allontanandoci dall’arrivo, quando manca appena  una curva alla fine. Quando sarebbe così facile raggiungerlo. Ma fai come Orfeo con Euridice, ti volti e vedi sparire tutta la fatica fatta per arrivare fin lì.
Dicono che dopo essere caduti possiamo rialzarci, ma è anche vero che è sempre più difficile farlo e che alla fine è così normale cadere che restare in piedi diventa superfluo.
Finché non è più possibile.

Nel libro c’è questo allenatore, Ruben, che aspetta da una vita di trovare il pugile di razza; probabilmente lo aspetterà per sempre ma a volte il destino non è realizzarsi ma spingere all’infinito le nostre aspettative. E’ un uomo onesto, se può aiuta gli atleti che si sono persi e cerca di raccattare loro un incontro per farli rientrare nel giro e così rientrarci pure lui.
Se ti senti uno dei suoi ragazzi puoi scommettere che cercherà con ogni mezzo di farti stare in piedi (e per Ruben vale in senso figurato e in senso letterale: sul ring), ma la spinta deve venire da te, altrimenti resti dove sei.

Da leggere.

sabato 11 giugno 2016

I capelli di un'altra





I capelli di un’altra

Marina è una forza.
Si sveglia al mattino che ha molto da fare, ha due figli e un marito, un lavoro che ama e
un padre malato che deve aiutare. Corre tra scuola la posta e la banca. Marina si stanca più spesso di prima.

Marina radiosa è dimagrita, si sente potente, la famiglia, la vita. Una cena tra amiche, un post, una gita. In doccia si sciacqua, si trova bella. La mano sul seno sente una fitta, Marina ha un gonfio sulla mammella.

Marina sta seria all’ospedale. In ambulatorio il dottore le parla, ma lei sembra non stare a ascoltare. Suo marito la stringe e la rassicura ma lei davvero adesso sta male. Marina ora sa di avere un tumore.

Marina è distesa, nella camera un letto, è stata dura ma si è rassegnata. L’intervento è riuscito, adesso è guarita. La chemio e la radio l’han dilaniata, Marina si specchia, adesso è calva.

Marina reagisce con forza e con rabbia. Marina è serena, Marina è tornata. Le foto dei figli sono come un mantra. La stessa di prima, la vita non cambia. Le corse di sempre e in più c’è il dottore. Spettinata dal vento cammina nel sole. Marina adesso ha i capelli di un’altra.

Nel mondo vivono amazzoni silenziose che arco e faretra ce l’hanno nel cuore. Sono le nuove guerriere e ne conosco alcune, troppe, di persona e virtuali, sono l’essenza della vita e brillano di quella stessa bellezza che ha il sole, quando lo guardi attraverso i rami di un albero, che intermittente ti acceca. Io queste donne le stimo tantissimo e solo ascoltando il loro inno alla vita si capisce come il cancro al seno non sia solo una malattia, ma una violenza. Quelle che nascono da questa violenza sono donne diverse, vestite di nuova consapevolezza. La “altra” a cui mi riferisco non è solo colei che dona la sua capigliatura (è prassi farlo anche per i bimbi), ma “altra” è proprio la donna che rinasce da questa esperienza devastante. Umilmente dedico loro questa piccola cosa che covo da tempo e non sapevo se… 


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Marco Frosali

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