La rete è grigia,
distante, forse tanto quanto lo sono due porte in un campo di calcio. Se Amjad
la osserva di sbieco sembra una parete. Forse lo è davvero. Lui e Rieda fanno
un gioco: fissano i cerchi di filo spinato, poi muovono le dita e seguono il loro
andamento a spirale. Gli hanno detto che ci sono degli aghi intorno ai cerchi.
Se ci mettono le mani bucano, anche più delle vespe.
Per non sentire i grandi
che gridano i due bambini giocano a palla. È
di Rieda. È grigia, sgonfia, ma ci
giocano lo stesso; la usano da quando sono lì. L’ha ricevuta il giorno che ha
raggiunto le coste della Grecia. Anche Amjad ne possedeva una; l’aveva
costruita lui stesso, arrotolando una vecchia maglia e avvolgendola con dello
spago. Adesso non ce l’ha più; suo padre l’ha disfatta. Ci ha aggiustato le
loro scarpe. Erano rotte.
Quanto hanno camminato!
Per giorni. Hanno attraversato i campi e i boschi e quando faceva buio gli
capitava di finire in acqua. Allora uscivano completamente bagnati. Era
estate e l’aria era fresca anche di notte. Completamente fradici
soffrivano un freddo terribile. Amjad, Rieda e Kuampa si guardavano. I loro
denti sbattevano a causa del freddo. Quel delicato tintinnare che usciva dalle
loro bocche gli sembrava un concerto. Ridevano e in questo modo avevano
l’illusione di asciugare prima.
Da giorni non si vede
Kuampa. Amjad crede che sia tornato a scuola perché la madre del suo amico
piange, come la sua mamma quando in Siria lo venivano a prendere gli uomini
vestiti di nero, per portarlo nella loro di scuole. Rieda invece dice che
Kuampa è morto. Amjad non lo sa come piange una madre in quel caso: a lui non è
mai accaduto.
Finalmente è il turno di
Amjad di fare il portiere: ci tiene tanto. In quel momento i grandi cominciano
a urlare, sempre più forte. I due bambini si voltano in direzione della grande
rete grigia, rimanendo impietriti; a Rieda scivola la palla di mano. Gli adulti
gridano e corrono verso la barriera di ferro, come una mandria in fuga;
lanciano tutto quello che possono raccogliere.
Dall’altra parte i
militari si avvicinano alla rete; altri ne arrivano da dietro la collina. Hanno
grossi fucili grigi che sparano palle, da cui esce fumo che buca gli occhi e fa
piangere. Amjad si tappa le orecchie con le mani perché lo spaventano di più le
grida del fumo.
Qualcuno cerca di
arrampicarsi sulla barriera ma i militari lo fanno cadere usando dei bastoni.
Dalle mani di Amjad i suoni filtrano lo stesso. Sente un tonfo e un grido. Si
volta. Rieda è a terra con la testa insanguinata. Accanto ha un proiettile che
fuma ancora.
Amjad guarda la madre
dell’amico che piange, lo stringe a sé; piange come sua madre quando venivano a
prelevarlo gli uomini vestiti di nero, piange come la madre di Kuampa e allora
Amjad pensa che forse anche Kuampa è morto davvero.
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