mercoledì 11 gennaio 2017

Trasparenze.




Sono a pranzo in un bar.
Pilucco un panino come fanno i passerotti, per farmelo durare di più; sono seduto accanto a una vetrata e il sole mi scalda.
Dopo qualche istante entro in uno di quei piacevoli loop regressivi che mi prendono in certe situazioni, e fanno affiorare dal passato cose impalpabili, vissute da piccolo.
Poi torno alla realtà, disturbato dalle voci del locale.
Seduti in disparte, un po’ distanti, ci sono un uomo e una donna che stanno parlando.
Anzi: lui sta parlando.
Lei lo fissa, lo fissa come se avesse finito le munizioni.
Non è una discussione, è una precisazione unilaterale, una richiesta.
Dal tono l’uomo sembra più un padre che un fidanzato.
Di tutto il discorso – che non ho sentito per intero, non origlio ma non posso nemmeno tapparmi le orecchie – lui pretende da lei più trasparenza nel loro rapporto.
Allora penso alla trasparenza e a tutte le volte che sento questa parola.
La chiediamo nei contratti, negli appalti, agli enti, alla politica, nei rapporti internazionali: tutte quelle volte che c’è il rischio che al di là di una cortina si celi un complotto, un illecito.
Penso a come la trasparenza nel nostro quotidiano sia quasi sempre riferita a un oggetto.
Infatti se l’oggetto è trasparente ci puoi vedere attraverso, togli quella barriera per mettere in luce un comportamento che sta al di là.
Se chiedi a una persona di essere trasparente, è perché vuoi guardarci dentro, approfondire la sua conoscenza.
Lui le chiede di essere trasparente.
Chiede a un soggetto di essere trasparente.
E il modo in cui glielo chiede non lascia intendere che ci voglia guardare dentro, ma che voglia vederci attraverso.
Quegli occhi che lo fissano disarmati non lasciano pensare a una persona che sta diventando trasparente, ma a una che sta diventando invisibile.

Nessun commento: