giovedì 12 gennaio 2017

Figli (3)





Ieri sera guardavo le mie figlie dormire.
Da un po’ di tempo ho scoperto quanto è bello fermarsi e fare finta di vedersi da fuori, scendere in un fermo immagine e studiare quei dettagli intorno a noi che altrimenti sfuggono allo scorrere di uno sguardo distratto.
La piccola tiene in mano qualcosa che nella veglia non ha fatto in tempo a posare. Qualunque cosa sia potrebbe servirle nel mondo del sogno: non è sempre un posto sicuro quello.
La grande invece ha la fronte corrugata, come quando si cerca di capire qualcosa che non è chiaro.
La loro stanza.
Le spugnate arancioni sul muro lasciano spazio a qualche baffo di cemento e mi accorgo di quanti posters devo essermi perso in questi anni; almeno tanti quanti sono i residui di nastro adesivo che brillano con la luce notturna.
L’armadietto bianco che non ho mai visto chiuso del tutto, pieno delle cose a cui tengono, la prima stiva dei loro ricordi.
Le Converse.
Che la notte sembrano fare una lotta politica tra destra e sinistra, oppure sono ubriache della giornata trascorsa, e si sbattono a terra senza riuscire nella loro elementare funzione di stare in piedi.
Mi torna in mente quando erano piccoline e le facevo camminare e danzare sulla punta delle mie scarpe, senza arrivare mai da nessuna parte se non in volo ridente (che radente riesce a tutti).
Poi ci sono io.
Ma quando nel mio viaggio immaginario incontro la mia figura, distolgo sempre lo sguardo.
Di me riesco solo a capire che quelle camminate sulle punte non finiscono mica da piccole.
Loro si fanno grandi e fare voli ridenti è sempre più difficile, ma un passaggio, su quello potranno sempre contare, e un giro di danza col babbo diventa un gala.
Ci vedo danzare con leggerezza e la sola cosa che riesco a guardare della mia figura mi fa sorridere.
Non erano mica loro adesso che stavano sulle punte.
Ero io che mi facevo un giro sulle loro.

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